Le polemiche per la presenza dei minori sui social network non accennano a placarsi, soprattutto dopo le azioni intraprese dall’autorità garante per la privacy in ordine ai più recenti fatti di cronaca.
In questo articolo cercheremo di analizzare i profili più rilevanti di questa spinosa questione, concentrando l’attenzione su un aspetto che oggi come oggi si pone come LA domanda fondamentale: l’iscrizione dei minorenni ai social network deve davvero essere vietata?
Indice dei contenuti
Minorenni sui social network: la guerra contro Tik Tok, facebook e Instagram
Nel gennaio del 2020 l’Autorità Garante della privacy aveva richiesto al Comitato Europeo per la protezione dei dati personali di attivare una task force a tutela dei diritti dei minori, avendo già rilevato numerose violazioni agli obblighi di trattamento dei dati personali da parte di alcune piattaforme social.
A dicembre dello stesso anno era stato avviato un procedimento proprio contro il colosso cinese del video-networking, reo di non aver previsto alcuna procedura di verifica del requisito anagrafico rendendo, di fatto, possibile la violazione del divieto di iscrizione ai social network da parte di soggetti minori di 13 anni.
La questione è stata esacerbata dai più recenti fatti di cronaca, che hanno visto la morte di una bambina palermitana di dieci anni per cause forse connesse ad un uso illecito proprio della piattaforma cinese Tik Tok.
A seguito della triste vicenda, l’Autorità garante per la privacy ha bloccato l’attività del social, inibendo il trattamento dei dati personali degli utenti per i quali non fosse possibile accertare con sicurezza l’età anagrafica e, quindi, il rispetto del relativo limite legale.
Tale divieto è rimasto operativo sino all’inizio del mese di febbraio, quando Tik Tok ha dichiarato la resa incondizionata alle richieste poste dal Garante alla base della rimozione del provvedimento di blocco.
Dal 9 febbraio, dunque, il social ha iniziato la rimozione di tutti gli account sotto i 13 anni di età, impegnandosi a introdurre sistemi di intelligenza artificiale per l’identificazione anagrafica sicura degli utenti.
L’attenzione dell’Authority si è poi spostata sul gigante statunitense bianco e blu e sulla piattaforma associata Instagram.
Il Garante ha richiesto ad entrambe di rendere informazioni circa il numero di account detenuto dalla minore deceduta, pretendendo chiarimenti in ordine alle procedure adottate per la verifica delle informazioni anagrafiche rilasciate dagli utenti in fase di iscrizione.
Considerato che di tali procedure non vi è traccia, perché entrambi i social network si limitano a prendere atto di quanto dichiarato dall’utente senza svolgere alcuna verifica a riguardo, questa potrebbe essere davvero una bella gatta da pelare per i due pilastri del social networking.
La tutela dei minori sui social network: a che punto siamo?
Il GDPR ha stabilito che il consenso del minore al trattamento dei dati personali sia da ritenersi validamente prestato qualora il minore abbia compiuto i sedici anni.
Qualora invece non li avesse compiuti, il consenso può essere validamente espresso solo da un genitore o da chi ne faccia legalmente le veci, con la conseguenza che il trattamento dei dati di un minore di sedici anni sarebbe sempre illecito in mancanza di una specifica autorizzazione da parte di chi, sul minore, eserciti la responsabilità genitoriale.
Tuttavia, è stata fatta salva la possibilità per gli stati membri dell’Unione di abbassare questo limite, purché esso non scenda mai al di sotto dei 13 anni di età.
L’Italia ha accolto con favore questa deroga, stabilendo che il consenso del minore al trattamento dei dati personali debba ritenersi validamente prestato questi abbia compiuto almeno 14 anni.
È chiaro quindi che fino al compimento del quattordicesimo anno di età, in Italia, i minori non potrebbero iscriversi ad alcuna piattaforma di social networking senza il preventivo consenso genitoriale, con la duplice conseguenza che:
- sarebbe diretta responsabilità del genitore vigilare sulle attività svolte online dal minore precocemente autorizzato, per prevenire ipotesi di azioni pericolose per se stesso e per gli altri;
- sarebbe sempre illecito il comportamento della piattaforma che non adotti misure di age verification per impedire l’aggiramento dei limiti di età, previsti sia dal GDPR che dalla normativa italiana di riferimento.
Quanto ai rischi concreti legati alla presenza dei minori sulla rete, ad oggi non esiste una normativa di tutela univoca e specifica.
La questione è demandata alle singole norme penali, qualora si configuri l’esistenza di un reato di cui il minore sia rimasto vittima o si sia reso responsabile, ed alla disciplina relativa al trattamento dei dati personali per quanto attiene all’accesso alle singole piattaforme.
I RISCHI DEI SOCIAL NETWORK PER I MINORI: QUALE CONSAPEVOLEZZA?
L’errore che commettiamo più frequentemente, quando parliamo di nativi digitali, è pensare che essere nati nell’era della tecnologia determini automaticamente, nei ragazzi, la competenza a conoscerla, dominarla ed utilizzarla nel modo corretto.
Questo dato emerge in modo sconcertante da un’indagine compiuta per Save the Children nel 2015, dal titolo “i nativi digitali conoscono davvero il loro ambiente?”:
- In Italia, il primo smartphone viene regalato mediamente all’età di dodici anni e mezzo, in molti casi ben prima che i bambini abbiano raggiunto l’età per iscriversi alle piattaforme di social networking;
- Il 58% degli intervistati dichiara di aver imparato ad utilizzarlo da solo, senza esservi stato guidato da un genitore. Gli intervistati che dichiarano di esservi stati guidati da un genitore sono appena il 25%. Su 4 ragazzi che hanno ricevuto un cellulare, solo uno viene assistito da un adulto nei suoi primi utilizzi;
- Il 39% degli intervistati si è iscritto a Facebook a 12 anni, ben 2 anni prima dell’età prevista dal GDPR e 1 anno prima di quella richiesta espressamente dalla piattaforma social;
- Il 23% degli intervistati dichiara di non avere alcuno scrupolo sui contenuti che condivide in chat WhatsApp popolate da persone non conosciute nella vita reale;
- Il 38% degli intervistati dichiara di non percepire come un pericolo concreto nella vita reale le minacce e le molestie perpetrate attraverso un social network. Questo significa, da un lato, che moltissimi ragazzi non conoscono la rilevanza penale delle condotte delittuose online, e dall’altro che quegli stessi ragazzi non sono consapevoli di quanto il cyberspazio possa diventare. concretamente pericoloso nella vita reale.
- Il 41% dichiara, infine, di non conoscere le modalità per segnalare gli abusi online.
Quello che ne deriva è uno spaccato agghiacciante.
In un’età ancora molto delicata per lo sviluppo individuale, viene mediamente concesso l’utilizzo per lo più incontrollato di uno strumento con una potenza di fuoco devastante, che dà accesso ad un mondo percepito come molto lontano dalla realtà, di cui il minore non conosce i pericoli concreti nella vita reale e dal quale non sa bene come difendersi.
L’iscrizione dei minori ai social network deve quindi essere vietata?
Io continuo a pensare che sarebbe controproducente.
In quanto genitori, dovremmo tenere a mente che la vita on line dei nostri figli, indipendentemente dall’accesso o meno ad un social network, dovrebbe sempre essere preceduta da una solida educazione digitale.
Così come ci impegniamo ad insegnare loro le regole della convivenza civile nella società, le regole del buon vicinato, la buona educazione ed il rispetto dei diritti della collettività per essere dei bravi cittadini del Paese e del mondo, allo stesso modo dovremmo impegnarci a formarli all’utilizzo delle “nuove” tecnologie anche se loro ci sono nati dentro.
La gestione del social network è un problema successivo di parecchio ed impartendo in modo chiaro ed autorevole l’educazione digitale di cui parlo, riusciremmo a ridimensionarlo notevolmente.
L’isolamento digitale, nel 2021, non può essere una soluzione. Mai come in quest’epoca pandemica abbiamo dovuto realizzare l’importanza di una forte identità digitale e di una rete di relazioni social che ci affrancasse dalla solitudine della quarantena.
Occorre, invece, costruire.
Creare una solida rete formativa ed informativa che miri a istruire i genitori – che nativi digitali non sono – all’utilizzo intelligente delle nuove tecnologie, alla conoscenza basilare delle norme di legalità dentro e fuori dalla rete, alla tutela dei figli minori dalle insidie concrete del cyberspazio.
Perché possano così esplicare quella funzione di educatori vigili che è diretta conseguenza della genitorialità, assisterli nelle prime fasi del percorso di condivisione della propria identità digitale e aiutarli a sviluppare il necessario spirito critico nei confronti dei pericoli legati alla virtualità.
Un po’ come quando, da piccolini, si insegna loro a camminare. Prima muovendosi piano e tenendoli per mano, perché imparino a stare in equilibrio sulle loro gambe. Poi, aumentando lentamente l’andatura, perché acquisiscano sicurezza.
Fino a lasciare che al momento giusto vadano avanti da soli, con la loro testa e le loro idee.
Lascia un commento